Chi deve giocare?
Guadagnarsi il posto è ancora una prerogativa nello sport?
Ogni squadra è formata da un variabile numero di giocatori.
E’ eticamente corretto che l’allenatore debba far giocare indistintamente tutti i giocatori?
A questa domanda ogni allenatore deve poter rispondere con assoluta coerenza.
Qualcuno potrebbe dire che occorre fare distinzioni per categorie o età dei giocatori.
Cioè, qualcuno potrebbe anche dire che la valutazione dell’istruttore debba dipendere dalle ambizioni della società di appartenenza e ancora, dalla categoria giocata.
Ognuno ha la sua idea. Vi dico come la penso sull’argomento: a prescindere da tutto, deve giocare chi se lo merita.
Dobbiamo imparare ad aiutare coloro che lo meritano, non solo quelli che hanno bisogno. La vita risponde al merito, non al bisogno.
(Jim Rohn)
Viviamo in una Società che fatica a valorizzare i meriti. Forse fa anche fatica a valutarli; a comprenderli.
La cultura basata sul merito è fondata su un percorso meno comodo; più faticoso, gravoso, arduo, stancante.
Quando sono in panchina non ho la possibilità di ascoltare i commenti sugli spalti.
Quando vado ad osservare le squadre avversarie, faccio scouting e sono seduto tra il pubblico a vedere partite, assisto a siparietti e ascolto commenti che mi fanno pensare e riflettere sull’argomento.
Sentire che un allenatore preferisce far giocare un ragazzo anziché un altro è ormai una costante. Captare sospetti di cambi punitivi perpetrati ai danni di Tizio invece che a Caio è una perenne ricorrenza.
Questo modo di pensare potrebbe anche essere immaginato nei miei confronti.
Non mi preoccupo della mancanza di “cultura sportiva”, cerco di insegnare ai miei giocatori principi etici per cercare di elevare la preparazione e diminuire l’ignoranza sull’argomento.
Fino ad una certa età, esistono regole federali che impongono agli istruttori un tempo minimo di gioco per ogni ragazzino. La norma è giusta in quanto è sacrosanto che i bambini possano trovare all’interno della gara il periodo temporale necessario allo sviluppo delle loro qualità e l’appagamento delle ambizioni.
Quindi:
Guadagnarsi il posto è ancora una prerogativa nello sport?
Mi pongo degli interrogativi chiave:
D: – Quali sono i ragazzi che devono avere l’opportunità di poter giocare con le suddette regole?
R: – Chiaramente… quelli convocati.
D: – Chi sono i giocatori che devi convocare?
R: – Quelli che se lo sono meritato.
D: – Quali sono i criteri di merito che adotti per le convocazioni?
R: – Costanza e presenza agli allenamenti. Impegno negli esercizi, educazione, rispetto del ruolo dell’allenatore.
Mio nonno mi disse una volta che ci sono due tipi di persone: quelli che fanno il lavoro e quelli che si prendono il merito. Mi disse di cercare di essere nel primo gruppo; ci sarà sempre molta meno competizione.
(Indira Gandhi)
I criteri di selezione sono strettamente legati alle qualità etiche e morali.
Utilizzo i sopradetti canoni principalmente quando alleno ragazzi molto giovani.
Regole
Quando il regolamento impone solo due quarti di gioco utilizzando tutti i giocatori e i restanti quarti senza limitazioni, utilizzo lo stesso principio: nei primi quarti, con i cambi obbligati, faccio giocare tutti i ragazzini che si sono meritati la convocazione. Nei restanti quarti faccio giocare maggiormente quelli che – tra tutti i convocati – se lo sono meritato in superior misura in funzione alla loro costanza, presenza, impegno, educazione, rispetto.
Vi vedo sorridere: “Furbo tu… nei primi quarti fai giocare tutti, poi fai giocare quelli più forti. Sei uno di quelli che vuole vincere”.
La vittoria non è mai lo scopo. Ho già affrontato l’argomento in un precedente articolo.
Ho bisogno di avere degli strumenti di crescita che siano legati al merito.
Il tempo di gioco che viene concesso è un fondamentale mezzo per arrivare allo scopo di far maturare il giocatore.
Entriamo perciò nell’esaminare chi sono i giocatori denominati “forti”.
A mio parere, i giocatori più validi sono quelli più abili. Sono coloro che si impegnano maggiormente, si allenano più degli altri, sono educati ad un gioco di squadra, mettono in pratica i dettami impartiti dall’allenatore.
Se andate a rileggere quali sono i miei criteri adottati per le convocazioni troverete i medesimi parametri.
Inoltre, se questi principi generali possono essere utilizzati a tutti i livelli, anche con il bambini, quando si entra nel mondo dei campionati “agonistici” la problematica sembra complicarsi maggiormente.
Quante volte si sente dire da alcuni “qui” non siamo al Real Madrid, “qui” non siamo in NBA. “Se volevo che mio figlio diventasse un campione lo portavo lì”.
Per fortuna non funziona così il mondo dello sport. Non si può andare al Real Madrid ad iscriversi. D’altra parte, anche nell’NBA ti scelgono.
Uguaglianza o bellezza della diversità?
In tutta onestà, da allenatore, non ho mai fatto passare la cultura del “i bambini sono tutti uguali”.
Non ho mai accettato la politica del “i ragazzi pagano la quota e hanno il diritto di giocare”.
D’altra parte, dobbiamo riconoscere che, nei tornei competitivi, il risultato ha la sua importanza.
Stiamo sempre analizzando i campionati giovanili quindi, la rilevanza dell’esito della gara è sempre relativa. Comunque, il risultato c’è e deve essere considerato.
Per questa ragione, oltre ai citati valori dell’educazione, costanza, impegno, si deve aggiungere la resa in campo del giocatore.
La prestazione agonistica di ogni giocatore deve essere presa in considerazione. Il grado di efficienza di ogni atleta deve essere analizzato. I punti realizzati, i rimbalzi presi, le palle recuperate, gli assist. I numeri, le percentuali devono essere quantificate e pesate raffrontandole agli avversari. Anche a livello giovanile.
Per quanto riguarda quest’aspetto, esistono statistiche in grado di valutare l’efficacia di ogni giocatore e il rendimento in campo in sodalizio con i compagni. Analizzando i dati si potrà capire che un giocatore può rendere maggiormente quando gioca con un determinato compagno.
E’ opportuno avere sempre aggiornato il registro delle presenze. Spesse volte, l’analisi della partecipazione agli allenamenti restituisce conferma alle scelte del coach.
Sulla base dell’esperienza, l’allenatore, in conformità alle risultanze e ai test effettuati in allenamento, saprà cogliere il momento opportuno per impiegare il giocatore e determinare invece quando sarà invece opportuno, per il suo bene o della squadra, tenerlo a riposo impiegando un altro suo compagno.
La valutazione dei comportamenti
L’allenatore valuta l’atteggiamento: Non può tollerare contegni passivi o remissivi. Non può avvallarli con decisioni che contraddicano i principi e le regole imposte.
Da un punto di vista etico, se fin da piccoli facciamo passere il concetto che maggiore è l’impegno più sarà il premio, eviteremo maggiori problematiche future a tutti.
Chiedere serietà e responsabilità, al giorno d’oggi ,sembra essere diventato un tabù.
Chi, da bambino, ha letto “Le avventure di Pinocchio di Collodi” , ha capito subito che non si può andare con Lucignolo nel paese dei balocchi senza pagarne le conseguenze. Si diventa asini, ti scuoiano e usano la tua pelle per farne un tamburo.
Non facciamo in modo che gli allenatori che indicano la strada giusta da seguire finiscano come il Grillo Parlante schiacciati sul muro dell’indifferenza e del disinteresse.
In altre parole, diffido fortemente da coloro che pensano di insegnare scorciatoie per arrivare alla meta.
Ci possono essere diverse strade ma, di certo, quella che esclude costanza, impegno, educazione e focalizzazione al perfezionamento individuale e collettivo, non è la migliore da consigliare.
Particolarmente, quando vedo giocatori che sono palesemente deficitari sia sotto l’aspetto fisico, tecnico, tattico, psicologico, ed educativo mi rabbuio. Vedo un potenziale sprecato e buttato al vento.
Ci sono allenatori che rifiutano la competizione, trincerandosi nel dire che i ragazzi non si divertono se sono sottoposti al giudizio del campo. Dicono che i ragazzi si stressano. Asseriscono che i giocatori si umiliano nel confronto.
Considerando i fatti, non vorrei che si nascondessero dietro questi alibi dimostrando i propri limiti, facendoli passare, codardamente, per quelli dei propri allievi.
Questo modo di fare produce giocatori che saltano gli allenamenti, scansano doveri.
Persone che non hanno il giusto impegno in partita. Non lottano. Non combattono. Sono passivi. Cercano sguardi di approvazione in tribuna quando invece dovrebbero essere concentrati al massimo nei propri compiti.
Dietro questi atteggiamenti negativi c’è sovente un pessimo istruttore, spesso indolente, il più delle volte impegnato ad accattivarsi le simpatie dei genitori che partecipe alla crescita dei propri allievi.
Ho sempre pensato che il mio compito di allenatore non sia solo quello di far svagare i ragazzi ma di migliorarli.
L’allenatore deve però capire se a livello cronico, alcuni giocatori non rientrano nei canoni condivisi e quindi, sulla base dei criteri approvati dal gruppo rischiano di non essere convocati o di giocare sempre scampoli di partita. Deve con tutte le sue forze trovare soluzioni. Accettare passivamente il fatto non è accettabile. Il buon istruttore deve agire, anche in collaborazione con la famiglia del ragazzo.
L’allenatore che non fa giocare il mingherlino per paura di perdere la partita è solo un pusillanime che trasferisce le sue ansie e le sue paure sui ragazzi. L’allenatore deve sempre sostenere i giocatori. Lodare pubblicamente chi ha dato il contributo alla squadra e spronare chi al momento non ne è ancora in grado.
Lo scopo finale non è sicuramente quello di vincere le partite senza passare da uno sviluppo personale basato sul rispetto degli impegni, dei compagni, degli avversari e arbitri.
Una squadra in cui dominano solidi valori sarà sicuramente un organismo vincente perché tutti saranno portati a dare il massimo impegno.
Roberto Cecchini