Un allenatore può trovarsi a disagio quando è inserito in una società che non intende perseguire gli stessi principi educativi.
Nella mia carriera è capitato.
Quando i valori formativi discostano in maniera molto evidente, non c’è altra via che separare le strade. Chi decide per primo non conta. L’importante è troncare il rapporto.
I miei principi educativi sono ben delineati e sono pilastri.
Non posso o devo retrocedere in quanto sono valori e principi etici.
Sono convinto che il Basket possa essere un valido strumento per contrastare alcune criticità: Ostacola la sedentarietà creando occasioni e motivazioni ad utilizzare il proprio corpo e aiuta a sviluppare l’organismo; appaga la necessità di aggregazione e evita ai ragazzi di entrare in senso patologico in “universi virtuali” e contesti artificiali. Ma, soprattutto, lo sport aiuta a divenire più resilienti.
Il mio tentativo è quello di far fare ai ragazzi esperienze proprie, gestire sia successi che sconfitte, rendendoli consapevoli dei propri comportamenti di fronte a sfide e avversità utilizzando metodi atti ad arricchirli tecnicamente, fisicamente e psicologicamente al fine di migliorare la loro naturale resistenza allo stress.
Voglio che i miei insegnamenti, attraverso gli allenamenti che propongo, rappresentino un investimento per il futuro.
Sono convinto che se ben impostato lo sport sia realmente utile, altrimenti lo ritengo addirittura dannoso e pericoloso in quanto intacca la resilienza dell’individuo.
«Il compito di un bambino, supportato dalla cooperazione di adulti attenti e responsabili, è sviluppare l’abitudine a non darsi per vinto di fronte a sfide e ostacoli.»
Martin Seligman
La personale esperienza mi consente di affermare che, fino all’adolescenza, oltre allo sviluppo delle capacità coordinative, l’obiettivo dell’allenamento deve essere quasi esclusivamente psicologico. Penso che il lavoro per la costruzione delle abilità tecniche e degli attributi fisici, nell’infanzia e nella preadolescenza, non sia altrettanto importante quanto quello mentale. Le condotte morali e sportive che fanno fare il salto di qualità nel basket di alto livello si costruiscono proprio nelle prime fasce d’età. Successivamente sarà molto più difficile ottenere risultati.
Il modello di basket giovanile in cui credo è perciò volto alla realizzazione dello sviluppo della resilienza e di tutti i requisiti psicologici che rendono i giocatori capaci di combattere e risolvere i problemi.
Chi non è d’accordo con questi mie principi, non percorre il mio “esempio educativo da dare ai ragazzi”.
A volte ho la sensazione che a livello giovanile gli allenatori siano utilizzati a frenare le innate esigenze dei ragazzi, dimenticando che l’agonismo è insito nella specie umana. E’ inutile fare i moralisti ad ogni costo.
Chi sostiene una tesi diversa o è in malafede o persegue altri scopi. L’agonismo è congenito, spontaneo e istintivo. Lo possiamo scorgere anche osservando i bambini piccoli. Me ne sono reso conto fin dalle scuole elementari. Quando la maestra ci faceva fare i più semplici esercizi, giocare a “bandiera” o ci faceva fare una corsa, si metteva immediatamente in moto una sfida all’ultimo sangue per determinare chi fosse il più abile o il più veloce.
Oggigiorno le società sportive, in particolare le società di pallacanestro, sono gestite da genitori inesperti. Spesso facendo sacrifici. Persone che sottraggono tempo libero a loro stessi e alle loro famiglie che si prodigano nel cercare di far fare attività ludico sportiva ai loro figli in un contesto custodito.
E’ però paradossalmente vero che più si cerca di salvaguardare e proteggere i ragazzi da fattori esterni, meno si contribuisce allo sviluppo dei fattori di crescita.
Se le società sportive non perseguono lo scopo di far fare sport vero ai propri giocatori, intervenendo alle prime avvisaglie di pseudo disagio avvertito dai genitori apprensivi, le speranze di costruire atleti di spessore si ridurranno sempre maggiormente. In tutte le situazioni dove i dirigenti sono anche genitori di atleti i rischi si moltiplicano.
Nello sport le delusioni non sono rappresentate solo dalle sconfitte: Lo sport è disciplina.
Sovente la severità rappresenta una grossa frustrazione per i giocatori. Eppure è chiedendo di più ai ragazzi che li fortifichiamo, non viziandoli.
«I giovani hanno diritto alla disciplina»
Bernhard Bueb.
I ragazzi hanno bisogno di regole e limiti chiari. Gli studi di Stanley Coopersmith dell’ Università di UCLA hanno dimostrato che i bambini educati in ambienti con troppa libertà, carenza di regole e limiti poco precisi hanno un’autostima bassa.
I figli di genitori troppo indulgenti risultano impulsivi, aggressivi e insicuri; i figli di genitori autorevoli sono invece sicuri, orientati all’obiettivo ed efficienti.
I miei giocatori devono sentire che dietro alla disciplina si cela diligenza, cura e sostegno emotivo nei loro confronti. Gli allenatori che pongono vincoli ma spingono a ricercare soluzioni ai problemi e danno prova di affetto non sono avvertiti come autoritari, piuttosto come autorevoli. Una condotta prettamente autoritaria tende a creare semplici giocatori esecutori, in attesa di comandi e privi di iniziativa e incapaci di assumersi proprie responsabilità.
Il mio sport, il mio basket è il credere e perseverare nel lavoro quotidiano atto alla creazione del giocatore auto-disciplinato. L’autodisciplina è un grande elemento costitutivo della resilienza.
“Non è il rumore di un sonaglio a far ridere il bambino, ma il fatto di essere lui a farlo suonare.”
Martin Seligman
Per chi volesse approfondire l’argomento, consiglio la lettura del libro: “Perseverare è umano” di Pietro Trabucchi
Roberto Cecchini